Sono affascinata dalle tradizioni culinarie regionali, amo conoscere i sapori tipici dei territori e l’origine delle ricette, quasi sempre legate alla stagionalità dei prodotti della terra e alle sagge abitudini contadine, rispettose del ciclo naturale delle stagioni. Questo è il motivo per cui nei miei pasticci quotidiani spesso introduco piatti di diverse regioni.
Tra i prodotti tipici vorrei presentarvi la SAPA, chiamata anche mosto cotto, prodotto tipico della Sardegna, delle Marche, dell’Emilia Romagna, dell’Abruzzo e del Molise. Sono poche le varianti, sostanzialmente si tratta di mosto appena pigiato, fatto bollire per diverse ore con bucce d’arancia secche e mele cotogne, fino alla riduzione a circa un quinto del volume. In Sardegna esiste anche la sapa di fico d’India, ottenuta dalla cottura del succo di questi frutti. Nel Molise, la mia regione, si usa addensare il mosto anche di più, fino a farlo diventare di consistenza mielosa. Per ottenere un mosto cotto particolarmente pregiato si usa la Tintilia, un vitigno tipico molisano, che produce poca uva dai chicchi piccoli e neri. Il vino Tintilia si caratterizza per un colore molto scuro, per un gusto corposo e deciso, per qualità gustative ed olfattive equilibrate nel bouquet e nel sentore tannico. Tempo fa si è rischiato di perdere questo vitigno, poi per fortuna è stato riscoperto e valorizzato, e adesso rappresenta uno dei prodotti tipici d’eccellenza del Molise.
L’uso della sapa era molto diffuso nella cucina povera delle tavole contadine, si usava per impastare dolci e pane, per creare bevande con aggiunta di acqua o neve fresca, per insaporire formaggi, polenta o altre pietanze, o condire insalate.
Ho ancora nelle narici quel sapore pungente e aromatico del mosto, che invadeva tutta la casa mentre cuoceva per ore ed ore. Serviva anche per un’altra preparazione molto particolare, che sicuramente provocherà ribrezzo a chi non è abituato all’idea: del maiale non si buttava niente, questo è noto, ed il sangue mescolato e cotto insieme al mosto cotto, bucce d’arancia, pinoli e spezie, serviva ad ottenere il cosiddetto SANGUINACCIO, un’altra succulenta preparazione, un tipo di crema dolce dal colore nero che veniva gustata spalmata sul pane o come dessert a fine pasto.
Ho ricevuto in dono la sapa, così ho voluto provare il pane di sapa e le tilicas, due ricette tipiche della Sardegna, di cui ammiro la varietà delle preparazioni e soprattutto l’abilità nel decoro artistico in pasticceria. Ho anche realizzato i famosi coccoi, speciali pani di semola lavorati e decorati, che potrete trovare in questo blog. Ecco la ricetta e il procedimento che ho seguito per i miei pani di sapa.
PANI DI SAPA
Preimpasto
100 gr di lievito madre al 100% di idratazione
100 gr di acqua
150 gr di farina di forza w320
1 gr di sale
Sciogliere il lievito nell’acqua, ossigenando con una frusta. Aggiungere la farina setacciata, poi il sale. Amalgamare poco e far maturare la massa per 18 ore a 18°.
Impasto
preimpasto
500 gr di semolato integrale senatore cappelli
500 gr di farina tipo 1 macinata a pietra
450-500 gr di acqua
300 gr di sapa
200 gr di fichi secchi
150 gr di mandorle
100 gr di noci
100 gr di cedro candito
20 gr di olio di girasole
un cucchiaio di miele di agrumi
8 gr di sale
una decina di chiodi di garofano
una decina di fave di cardamomo
un cucchiaio raso di cannella
qualche seme di anice stellato
PROCEDIMENTO
Mettere in plenetaria il preimpasto e aggiungere tutta la farina mescolata e setacciata.
Mettere in movimento la macchina a bassa velocità, aggiungere a poco a poco l’acqua (non tutta, lasciare 100 gr per la fine) la sapa, il miele.
Incordare bene, aggiungendo gli ultimi 50-100 gr di acqua, a seconda di quanta l’impasto ne assorbe.
Dopo un po’ aggiungere i fichi e le noci in pezzi grandi, le mandorle intere, il cedro in cubetti, le spezie polverizzate, il sale alla fine.
Formare una palla, porre in un mastello, coprire con la pellicola e far riposare l’impasto per due ore circa, con temperatura ambiente, e operando s&f dopo mezz’ora, e due giri di pieghe a distanza di 40 minuti.
A questo punto porre l’impasto in frigorifero per 18 ore.
Passato questo tempo tirare fuori dal frigo, attendere che si ambienti per circa mezz’ora, poi rovesciarlo sulla spianatoia ed operare una formatura delicata, tipo ciabatta, per non rompere le bolle.
Attendere ancora un’ora, nel frattempo preparare il forno.
Cuocere a 180° per 30-40 minuti, a seconda della grandezza delle pagnotte. Questi pani vanno gustati completamente raffreddati. Possono essere ulteriormente arricchiti da una copertura di sapa ristretta, frutta secca e decorazioni a piacere.
Questa ricetta partecipa alla raccolta PANISSIMO di febbraio, curata dalle mie amiche Barbara e Sandra, e ospite per questo mese nel blog DOLCE FORNO
Commenti
Amo le tradizioni e amo avvicinarmi ad esse.
Specie quelle culinarie, sono ciò che più ci avvicina alle nistre radici.
Brava la mia mammina adottiva ♥
La bellezza di questi pani è innegabile, come lo è la tua stupenda manualità, grazie per la tua partecipazione a Panissimo e grazie per aver condiviso questa stupenda ricetta.
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