LA MELANZANA: STORIA, RICETTE E CONSIGLI

la melanzana storia ricette e consigli

Melanzana, una grande risorsa per la cucina estiva e d’inizio autunno.

Nelle sue numerose varietà, la melanzana costituisce una base per ricette tradizionali o innovative, con il suo sapore più o meno amarognolo, più o meno piccante, le varie sfumature di colori dal bianco al violaceo al nero, e ultimamente anche rosso acceso (melanzana rossa di Rotonda, DOP della Basilicata), le forme più tondeggianti oppure oblunghe, piccole o grandi, la superficie levigata e splendente.

Un ortaggio versatile, poco calorico, che si adatta a preparazioni prevalentemente salate, in abbinamento perfetto con basilico, pomodoro e formaggi. Ma le combinazioni possibili sfidano la fantasia dei cuochi e travalicano addirittura il campo della cucina per entrare in quello della pasticceria, con golose preparazioni dolci, alcune delle quali anche tradizionali.

Sicuramente le varietà moderne sono molto diverse dalle melanzane utilizzate nel Medioevo, che erano molto più ricche di solanina e quindi potenzialmente tossiche. Non bisogna infatti dimenticare che la melanzana fa parte della famiglia delle Solanacee, come la patata, il pomodoro e il peperone. La solanina è un alcaloide utilizzato da queste piante per difendersi da parassiti e insetti, e risulta tossico per il nostro organismo, a meno che non sia neutralizzato da una forte salatura o dalla cottura.

La melanzana usata in alimentazione è il frutto del Solanum melongena, una pianta originaria dell’Asia (India e Cina), è caratterizzata da un basso valore calorico ed è considerata tra le verdure più salutari per il suo alto contenuto di vitamine, minerali e composti bioattivi per la salute umana. Ha ottime capacità di assorbimento dei radicali dell'ossigeno, ha un elevato contenuto di composti fenolici (in particolare acido clorogenico) presenti nella polpa e antociani nella buccia, ha proprietà depurative, antinfiammatorie e antibiotiche (fitoantibiotici), ha capacità di ridurre il livello di colesterolo nel sangue. Le molecole biogene quali la serotonina e la tiramina possono migliorare la digestione, l’acido clorogenico e caffeico e molecole cinarinosimili, di sapore amaro, hanno un’azione coleretica (miglioramento nella produzione della bile).

Nel nostro Paese sono stati censiti oltre 60 tipi di melanzane, tra i quali la Violetta lunga palermitana e la Violetta napoletana, la Ovale nera o bianca, la Tonda viola, la Zebrina viola, la piccola Nana precoce, dal profilo tondo e costolato, la Tonda nera, la lucentissima Black Beauty, la melanzana Perlina, la Rossa di Rotonda, di origine africana, di forma tondeggiante e un colore così vivido da sembrare un pomodoro (prodotto DOP del Parco Nazionale del Pollino e della provincia di Potenza), la Tonda di Firenze, a polpa molto compatta, la Spagnola di Murcia, la tonda e violetta Prosperosa, particolarmente resistente all’ossidazione, la Rotonda Bianca, dalla bellissima buccia a sfumature rosa.

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STORIA

Pare che le melanzane fossero utilizzate in cucina già 4000 anni fa, dai popoli dell’India, dove la pianta cresceva spontanea, e poi in Cina e in altri paesi dell’Asia centrale. Si usava consumarle in una salamoia arricchita di spezie piccanti, per attenuarne il sapore amaro, ma soprattutto per ridurne la tossicità.

Questo ortaggio approdò sulle sponde del Mediterraneo con gli Arabi, circa nel IV secolo, per poi diffondersi in Spagna e in Sicilia. I Carmelitani ne promossero la coltivazione negli orti di tutta la penisola, cosicché nel 1550 la melanzana entra di diritto nel Trattato della coltura degli orti e giardini di Giovan Vettorio Soderini, naturalista italiano.

L’utilizzazione della melanzana in cucina faticò a propagarsi, ma già nel ‘400 era abbastanza comune in Italia meridionale. A lungo fu ritenuta la causa di pazzia, turbe mentali, peste, lebbra, cancro ed altre malattie, forse anche per la sua errata etimologia di malum insanum, cioè mela insana. Si temeva anche l’annerimento che assume la polpa bianca dopo il taglio, un normale fenomeno di ossidazione come per mele, pere e banane, che dipende da un enzima (polifenolossidasi).

Ecco le opinioni che circolavano sulla melanzana a partire dall’anno Mille.

Il medico arabo Ibn Botlan (che ci ha tramandato preziosi precetti d’alimentazione e dietetica attraverso il suo contributo al Tacuinum Sanitatis, prima enciclopedia di scienza naturale oggi conservata alla Biblioteca Casanatense), riteneva che generasse “melanconici umori” e spingesse a una sfrenata bramosia sessuale. Altri medici arabi imputavano alla melanzana molti disturbi e serie malattie. Il filosofo persiano Avicenna scriveva: «se ne mangiano i frutti per procurare lussuria». Nella Clizia di Machiavelli la melanzana è “pomo d’amore”, e in Occitano ha un nome molto esplicito: vietase, ovvero pene d’asino. Taddeo Alderotti, primo professore di medicina all’Università di Bologna, citato nel trecentesco Novellino, anonima raccolta toscana di novelle, proponeva addirittura una tesi secondo la quale chi avesse mangiato almeno nove melanzane sarebbe diventato matto: «Maestro Taddeo, leggendo a’ suoi scolari in medicina, trovò che, chi continuo mangiasse nove dì di petronciani, che diverrebbe matto; e provavalo secondo fisica».

La voce marignani (melanzana nella forma plurale), compare per la prima volta nel Cuoco Napoletano (manoscritto della fine del XV secolo). Nel Cinquecento il naturalista Pietro Mattioli ne ricordava gli usi popolari e le proprietà afrodisiache: «mangiansi volgarmente fritte nell'olio con sale e pepe come i fonghi… usansi in Italia di mangiare questi frutti per provocare a lussuria». L'agronomo Gabriel Alonso de Herrera nel 1513 sosteneva che gli Arabi portarono in Europa la melanzana per avvelenare i Cristiani. Pellegrino Artusi (1820 – 1911) nella sua opera La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene (1891) scrive che le melanzane, all’epoca chiamate petonciani, «quarant’anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani».

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CURIOSITÀ SUL NOME

Il nome melanzana non deriva da mala insana, ma nasce dalla fusione del prefisso “mela” con l’originario termine arabo al badinjian (uovo del diavolo). In Italia il nome originario ha dato vita a mille varianti dialettali, con l’aggiunta del prefisso mela- o petro- a seconda della regione: dal fiorentino antico petonciana o petronciano al piemontese malansana, al milanese meresgian o all’abruzzese buligname, al pugliese marangiana o all’umbro marignanu, fino al napoletano mulignana e al siciliano mulinciana o mirinciana. Nel Medioevo era frequente aggiungere il prefisso mela-, col generico significato di frutto, come nelle parole melarancia, melagrana, melangolo, ma frequente era anche il prefisso petro-. Quindi troviamo le due denominazioni di melangian, da cui melanzana, e petronciano o petonciano.

La versione della parola araba senza l’articolo “al-” viene adottata in molte lingue europee, in particolare nelle lingue romanze. In spagnolo castigliano la parola diventa berenjena, mantenendo l’araba “b” all’inizio della parola. Questo ha influenzato il portoghese (sia europeo che brasiliano), in cui si dice berinjela e altre lingue della penisola iberica, come il basco, in cui si dice berenjena. La parola greco-bizantina per chiamare questo ortaggio, ossia melitzana, è un prestito linguistico dall’italiano.

Il catalano adotta la versione araba con l’articolo, ossia al-bādinjan: in catalano si dice albergìnia. Dal catalano la parola passa al francese, in cui diventa aubergine, e dal francese, attraverso l’influenza normanna, passa in inglese e in tedesco.

Come abbiamo già detto in precedenza, la melanzana in occitano era invece vietase, che letteralmente significa “pene di asino”, per i suoi presunti effetti afrodisiaci.

La denominazione eggplant, che significa “pianta uovo”, comune in inglese americano e inglese australiano, è dovuta a una particolare cultivar della melanzana, di colore bianco e particolarmente ovoidale.

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MELANZANE IN CUCINA

Il suo ingresso nella cucina e gastronomia occidentale non fu certo semplice, ma la melanzana è riuscita col tempo a superare i tanti pregiudizi e oggi è uno degli ingredienti principali di innumerevoli ricette, entrando a pieno titolo nella tradizione culinaria di molti paesi e nella rosa delle ricette nazionali più rappresentative a livello mondiale. Basti pensare al moussakà greco o turco, alle berenjenas con queso spagnole, a ratatouille o cotolette tipiche della Provenza, al babaganoush della cucina ebraico-sefardita, e, tra i più celebri piatti del nostro paese, la parmigiana di melanzane, la caponata, la pasta alla Norma, le melanzane alla scapece, le melanzane a funghetto, involtini o polpette di melanzane, pizzette di melanzane… e, per finire in bellezza con una ricetta dolce della Costiera amalfitana, le famose melanzane al cioccolato.

Ognuna di queste ricette ha una storia interessante, che richiederebbe uno spazio a sé, ma vale la pena soffermarsi sull’origine della Parmigiana. Saremmo portati a pensare ad un collegamento con la città di Parma e con il suo famoso formaggio, ma non è così. Parmigiana è infatti un sostantivo che indica una preparazione a strati di determinati ingredienti, non solo con melanzane, e deriva dalla parola siciliana parmiciana, ovvero le liste di legno che compongono una persiana. La dizione corretta è quindi “parmigiana di melanzane”, e non “melanzane alla parmigiana”, nonostante tale terminologia compaia nel Cuoco Galante di Vincenzo Corrado e nella Cucina teorico pratica di Ippolito Cavalcanti. Non è escluso che l’assonanza tra il termine parmiciana e il formaggio parmigiano abbia nel tempo agevolato l’uso di quest’ultimo come ingrediente privilegiato.

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LA RICETTA: MELANZANE MARINATE

Prima che termini la stagione delle melanzane possiamo preparare ancora qualche ricetta con questo gustoso ortaggio, per esempio una semplice e rapida ricetta che risulta un gustoso e stuzzicante contorno.

Va premesso che ancora oggi si utilizza un espediente per disidratare le melanzane e renderle meno spugnose: basta metterle sotto pressa in uno scolapasta per un paio d’ore con sale grosso. In questo modo le melanzane saranno anche meno amare e piccanti.

Le varietà moderne comunque non hanno un gusto amaro così spiccato, quindi il passaggio nel sale si può anche evitare. Se vengono esposte al sole per qualche ora, si asciugheranno solo in superficie e si formerà una pellicola che le renderà un po’ più impermeabili all’assorbimento di olio.

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Oggi vi propongo le melanzane marinate, un piatto semplicissimo che può essere servito come contorno ma anche come antipasto. Bisognerà avere l’accortezza di prepararlo il giorno prima per consentire l’amalgama degli ingredienti.

Per ottenere un vassoietto di melanzane marinate vi occorrono

-             Due melanzane tonde (circa 600 g)

-             80 g di olio extravergine di oliva

-             50 g di aceto leggero di vino bianco

-             Un peperoncino dolce

-             Due cucchiai di capperi sottaceto

-             Qualche foglia di menta

-             Due ciuffi di prezzemolo

-             due spicchi d’aglio

-             Buccia grattugiata di limone

-             Sale qb

Procedimento

Lavate le melanzane, eliminate il picciolo e tagliatele a fette di un centimetro di spessore.

Ponete le fette su una gratella e lasciatele all’aria per qualche ora (o anche al sole se c’è), coperte da un velo per evitare il contatto con insetti. In alternativa potete metterle in forno tiepido ventilato per mezz’ora. Le melanzane si asciugheranno in superficie e formerà una pelle abbastanza impermeabile, che eviterà l’assorbimento di troppo olio.

Spennellate la superficie delle melanzane con l’olio e ponetele su una griglia di ghisa già calda, o su un tegame antiaderente, cuocendole da ambo i lati.

A questo punto scegliete il piatto da portata e alternate strati di melanzane condendole con aceto, sale, capperi peperoncino a pezzetti, aglio schiacciato, prezzemolo, menta e buccia di limone.

Lasciate insaporire almeno per sei ore, meglio per un giorno intero in frigorifero, avendo l’accortezza di raccogliere ogni tanto la marinatura dal fondo, per cospargerne la superficie.

Commenti   

# Giovanna Lauricella 2024-09-18 15:39
Lavoro encomiabile! Grazie
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# Maria Teresa 2024-09-18 19:17
Ti ringrazio tanto Giovanna, specialmente perché sei siciliana e quindi intenditrice di questo meraviglioso frutto!
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